“Le criptovalute? Sono un vero gioco d’azzardo”. La proposta dal mondo bancario Ue e Uk.

La differenza fra gioco d’azzardo e investimento finanziario potrebbe essere solo la parola “gioco”. Per il resto, l’azzardo c’è in entrambi i casi. Ma per le banche, solo le criptovalute meritano una legislazione più rigida, ovvero quella prevista per il gioco d’azzardo. Per i loro prodotti finanziari, i circuiti bancari dicono che non ci sono rischi.
E comunque, anche per chi investe in azioni si dice che “gioca” in Borsa.

“Pensavo che fosse un investimento e invece era gioco d’azzardo”.
Lo ha detto un giovane britannico che è finito in clinica per curare una dipendenza da… criptovalute.
Il giovane in questione aveva perso 150mila sterline, una parte presi in prestito, e non riusciva a smettere di seguire ossessivamente l’andamento delle quotazioni sul suo smartphone. Il comportamento tipico di chi è dipendente dal gioco.

Non si tratta di un caso isolato.
Tant’è che in Unione Europea è stata avanzata la richiesta di regolamentare questo tipo di trading inserendolo tra i vari giochi d’azzardo.

A chiederlo è stato l’italiano Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce, Banca centrale europea.

“I consumatori vulnerabili” ha detto “dovrebbero essere protetti attraverso principi simili a quelli raccomandati dalla Commissione Europea per il gioco d’azzardo on line”. In più, la tassazione per chi offre il servizio di acquisto e vendita di cripto, dovrebbe essere in base ai costi che la collettività deve sostenere come danni conseguenti.

Questo può sembrare un discorso di buon senso.
Talmente di buon senso che appena un mese prima la stessa proposta l’aveva fatta anche il Comitato del tesoro del Regno Unito.
Un Paese che, nonostante abbia appena abbandonato l’Unione europea, ne condivide i principi al punto da usare quasi le stesse parole: “le valute digitali non hanno alcun valore intrinseco e nessuno scopo sociale utile”. 

Vista la situazione, è più che naturale farsi qualche domanda.

Per prima cosa, c’è da chiedersi per quale motivo le criptovalute sarebbero un azzardo e il trading on line no.
Sono centinaia, se non migliaia, i siti sui quali si può aprire un conto e iniziare a comprare e vendere titoli di qualunque genere. Un’attività che presenta rischi altissimi e che in molti casi dà luogo a una vera e propria dipendenza: la dinamica è la stessa di chi punta denaro su slot o scommesse on line e non riesce a staccarsi dallo schermo del computer o dello smartphone, in attesa che un investimento gli produca un bell’introito.

Anche se lo chiamano investimento, è di fatto una scommessa sull’andamento di un titolo, di una valuta e così via.

Allora perché questa richiesta arriva solo per le criptovalute?

Certo, le valute cosiddette fiat, ovvero emesse da banche centrali, sono garantite da uno Stato (come gli Stati Uniti per il dollaro, il Regno Unito per la sterlina e l’Unione Europea per l’euro). E i titoli azionari quotati nelle Borse ufficiali sono monitorati dalle varie autorità nazionali, che li sospendono se il loro valore sale o scende troppo velocemente.

Eppure, i casi di persone che si rovinano con il trading on line non sono affatto rari. E nemmeno le truffe! Basta pensare alla cosiddetta crisi dei titoli subprime, che a partire dal 2006 ha messo nei guai banche, aziende e privati cittadini di mezzo mondo!
E se, invece, la normativa per il trading convenzionale funziona così bene, perché non la si può applicare anche alle criptovalute?

Quello su cui concordano Bce e Tesoro Uk è che le criptovalute “non svolgono alcuna funzione socialmente o economicamente utile”.
Qui confesso i miei limiti: ma quale sarebbe l’utilità sociale di chi acquista 10mila euro di dollari e li rivende a 12mila dopo qualche giorno?
A me sfugge.

Parlando con diversi esperti e appassionati della materia, ho capito che acquisti e vendite nella finanza speculativa sono decisi sulla base delle statistiche. Qualcosa di molto simile ai metodi usati da chi gioca al Lotto o alla roulette, secondo i quali un certo numero dovrà uscire quando non esce da molto tempo.

Si basa su metodi previsionali più concreti chi fa scommesse sportive e raccoglie informazioni non solo sulla storia delle squadre sulle quali punta ma anche sulla condizione fisica dei vari giocatori, sulle performance recenti, sulle previsioni meteo e così via. Tutti elementi che incidono realmente sul risultato.

L’idea di fare ricadere gli investimenti in criptovalute sotto la normativa del gioco d’azzardo sembra proprio una buona idea.
Tanto buona che si può estendere a tutti gli investimenti finanziari. E anziché la Consob a vigilare sulla Borsa ci troveremmo i Monopoli.

Perché non provare?

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