Tra i pochi italiani presenti all’ultimo Fantasy Sport Summit, che si è tenuto durante il SiGMa (Summit of iGaming Malta), Niccolò Caramatti è il fondatore e ceo di una società specializzata in questo tipo di offerta: Dfs Italia.
La persona giusta per capire se nella terra del Fantacalcio ci sia spazio per i Daily fantasy sport.
La sua società è nata per offrire solo questo tipo di gioco, i cosiddetti “daily fantasy”. Ma c’è sufficiente mercato in Italia?
Noi siamo nati nel 2015 e siamo andati on line nel 2016. Avevamo iniziato a offrire il gioco direttamente all’utente finale ma oggi operiamo solo nel B2B.
Cioè, offrite la vostra piattaforma ai concessionari che inseriscono il gioco nella loro offerta.
Esatto. Abbiamo cinque operatori che si sono uniti: ePlay24, Stanleybet, Hbg, Betium. Poi altri se ne sono aggiunti e sono usciti.
Parlare di “fantasy” in Italia significa parlare di Fantacalcio.
Certo! Io ci giocavo quando avevo 10 anni. Stiamo parlando di un gioco che ha 30 anni.
Però quello era un gioco fatto amichevolmente, tra i colleghi d’ufficio, dove magari ci si giocava una birra. Se è diventato un gioco con la concessione dei Monopoli, quindi alla pari di qualsiasi altro gioco d’azzardo legale, ha fatto un salto. Di investimenti e anche di normativa, perché il giocatore sta facendo qualcosa di più di una scommessa con gli amici.
Non c’è dubbio. Perché per giocare con le Dfs (Daily fantasy sport ndr) significa aprire un conto gioco, depositare del denaro e utilizzare una piattaforma per giocare on line.
Ma a me viene in mente il poker. Fino al 2007, il poker si giocava intorno a un tavolo con tre o quattro amici e cinque carte in mano. Adesso non si parla più di poker all’italiana ma di Texas Hold’em, che si gioca aprendo un conto gioco e usando una piattaforma on line. E adesso lo giocano anche gli amici che si incontrano live.
Insomma, l’on line ha cambiato tutto.
E il Dfs sta soppiantando il vecchio Fantacalcio?
Noi lo speravamo. Perché quel gioco ha bisogno di essere cambiato: siamo nel 2019 e basarsi sul voto di un giornalista che deve vedere 22 o 25 giocatori è anacronistico, rispetto a quello che la tecnologia ti offre. Ma sinceramente questo processo non si è ancora realizzato.
Per capire meglio: il Fantacalcio si basa su squadre immaginarie che ciascun giocatore assembla con giocatori reali. E la squadra vince o perde sulla base di una pagella che a ogni giocatore viene assegnata dai giornalisti della Gazzetta dello Sport. Il vostro gioco, invece, utilizza degli algoritmi che analizzano il comportamento in campo dei giocatori nella loro ultima partita, giusto?
È così. È tutto automatizzato. Ma c’è un’altra differenza importante. Il Fantacalcio è un gioco stagionale, dove io seleziono dei giocatori e me li porto avanti fino alla fine della stagione. Il nostro gioco ha la parola “daily”, cioè quotidiano. Perché si gioca ogni volta che ci sono delle partite. Se stasera c’è l’Europa league, io scelgo i giocatori tra le varie squadre coinvolte in quella fase di gioco e alla fine della partita io so il risultato e la mia squadra finisce lì. Ho vinto oppure ho perso e dopo penserò alla partita successiva l’indomani o dopo qualche giorno.
E questo è un vantaggio?
Sì, perché con il Fantacalcio può capitare che a metà stagione il destino della mia squadra sia già segnato. Magari ho preso l’attaccante che si è fatto male e so già che non vincerò. Con le dfs, invece, ogni giorno si ricomincia daccapo.
Altra differenza è che il Fantacalcio è solo italiano, mentre le dfs sono nate negli Usa e comunque hanno un mercato mondiale. Voi su quali mercati operate?
Noi abbiamo scelto di operare in Italia perché conosciamo bene il mercato e gli operatori. Ed è un mercato che ha già un’esperienza legata al Fantacalcio. Ovvio che l’ambizione di andare in altri mercati le abbiamo, ma passo dopo passo. Perché anche mercati vicini geograficamente poi rivelano un comportamento dei giocatori molto diverso e, soprattutto, normative tutte da scoprire. Comunque, siamo disponibili a qualunque proposta arrivi da un operatore locale che già opera in quel contesto.
Rimane, però, la difficoltà di operare in un mercato dalle dimensioni contenute, come quello italiano.
Le dimensioni condizionano gli investimenti e contano tantissimo perché è un gioco di liquidità: le cose cambiano molto se c’è un montepremi da mille euro o se, invece, il montepremi è di 1 milione.
Inoltre, la regolamentazione italiana è tra le più complesse e severe.
È vero, ma questo non ci ha penalizzato molto. Le dfs sono classificate come skill games e il nostro gioco aveva tutte le credenziali per essere commercializzato.
Il problema semmai è che la risposta del mercato è stata piuttosto fredda. Ma non credo per scarso interesse degli utenti, quanto piuttosto perché gli operatori non hanno investito su questo prodotto. Forse loro si aspettavano che un giocatore arrivando sul loro sito vedeva da qualche parte “fantasy sports” e ci cliccava su per provare e giocare. Invece io mi aspettavo che gli operatori facessero un investimento non dico paragonabile a quello che fu fatto per il poker tra il 2009 e il 2011, quando furono spesi centinaia di milioni di euro nelle promozioni tra i vari utenti, ma neanche così insignificante.
Ma con il divieto di pubblicità appena introdotto non ha senso parlare di promozione, no?
Beh, intanto si può iniziare sensibilizzando la clientela esistente, che già va sui siti di gioco. E comunque, anche prima, quando non era vietata la pubblicità, gli operatori non hanno fatto nulla per far conoscere questo gioco.
Una buona operazione di marketing dovrebbe recuperare ai dfs i giocatori di Fantacalcio. Che è giocato soprattutto tra giovani e giovanissimi. Molti impiegati, è vero, ma anche tantissimi quindicenni e sedicenni, che sono poi i tifosi di calcio più accaniti. Le possibilità, quindi, sono due: a) una grossa fetta di mercato vi è preclusa per legge, dato che i minorenni non possono giocare con soldi; b) potreste essere visti come quelli che spingono i più giovani a giocare d’azzardo, magari preparandoli per quando la legge glielo consentirà.
Il divieto ai minori rimane una cosa insindacabile e noi siamo i primi a crederci fortemente. Ma dobbiamo dire che la nostra utenza è molto più ampia perché spaziamo dai 20 anni ai 45-50. Il ragazzo ha solo più tempo ma a noi interessa poco perché ha anche una bassa capacità di spesa. E poi dobbiamo considerare che il nostro è un gioco molto ludico e non presenta rischio di dipendenza. Il fatto che non è un gioco continuo, perché non si può giocare 24 ore su 24 ma una volta che è finita una partita bisogna aspettare quella dopo che può essere l’indomani o anche dopo due giorni. E questi intervalli lo rendono un gioco molto innocuo. Magari i giovani potessero giocare a fantasy sport, invece che a giochi con i quali rischiano la dipendenza.