I conti non tornano perché il casinò di Campione d’Italia, chiuso per fallimento dal 27 luglio scorso, in realtà non ha mai smesso di produrre utili.
In apparenza, la questione sarebbe semplice: gli introiti del casinò sono diminuiti negli anni, fino a che ha raggiunto un passivo che ha indotto a portare i libri in tribunale. Allora perché dicono che continuava a produrre utili?
Perché gli utili sparivano nel momento in cui il suo proprietario, ovvero il Comune che è socio unico, incassava quella che era la sua spettanza. Una quota di denaro che per legge gli deve essere versata dal casinò. Così, quelli che sarebbero stati comunque dei buoni margini, non erano più sufficienti a pagare questa sorta di retta nei confronti del proprio azionista. Il Comune, però, ha continuato a scriverla a bilancio come credito; e il casinò, di conseguenza, l’ha dovuta mettere nel proprio bilancio come debito. Il fallimento, a quel punto, sembrava inevitabile. Dovuto, quindi, a debiti che il casinò ha contratto con il suo stesso proprietario, il Comune.
Il paradosso di questa vicenda, fin qui già abbastanza grottesca, è che per il Comune, quelle del casinò sono sempre state le uniche entrate. E senza casinò vengono a mancare anche i contributi provenienti dalle attività che costituiscono l’indotto, come alberghi e bar, destinati alla chiusura senza il movimento del casinò. Quindi, facendo fallire la propria società (Casinò di Campione), il Comune ha determinato anche il proprio fallimento. Che, nel caso di un ente pubblico, si chiama “dissesto finanziario”. Ma la sostanza non è molto diversa.
La domanda, quindi, è d’obbligo: perché il Comune non ha ridotto le richieste al casinò, per scongiurare il disastro per l’intero paese di Campione d’Italia?
E lo stesso casinò, ha provato a ridurre il proprio bilancio, adeguandolo alla nuova situazione economica?
“Noi abbiamo fatto la nostra parte” dice Matteo Guanziroli Lombardi, rappresentante sindacale dei dipendenti del casinò “perché negli anni passati abbiamo anche concordato una riduzione dei nostri stipendi di circa un terzo. Ma per noi la faccenda era più semplice perché la nostra è una società di diritto privato, anche se è sempre stata di proprietà pubblica: prima c’erano anche le Provincie di Como, Varese e Lecco. Proprio il calo degli utili ha spinto negli scorsi anni a rivedere l’assetto azionario e il Comune è rimasto l’unico azionista. Che avrebbe potuto, comunque, intervenire per ridurre il costo del personale. Solo che per un ente pubblico la faccenda è più complicata”.
Oggi il sindaco, Roberto Salmoiraghi, in carica da poco più di un anno ma che aveva già ricoperto quella carica altre due volte, nel 1994 e nel 2002, chiede l’intervento del Governo per salvare casinò e Comune. Ma va detto che proprio un suo esposto alla Procura di Como, quando era all’opposizione, ha dato il via alle procedure che hanno portato alla chiusura per fallimento.
FACCIAMO CHIAREZZA
Per capire questa situazione complessa, procediamo con ordine.
Va ricordato, innanzitutto, che Campione d’Italia è un paese della provincia di Como ma si trova circondato da territorio svizzero: una enclave italiana in Svizzera. Questo comporta una serie di particolarità che vedono, per esempio, convivere le due valute: euro e franco svizzero.
Il casinò nasce con una legge del 1933 e, come gli altri tre casinò italiani, ha la finalità precisa di sostenere la comunità locale. Da qui l’obbligo, per legge, di trasferire una cifra fissa ogni anno alle casse comunali.
Intorno al 2003-2004, i casinò italiani cominciano ad avvertire un calo degli utili.
“La ragione principale del calo è stata la diffusione in tutt’Italia delle sale giochi, che si è aggravata con l’arrivo delle videolottery, note come vlt” dice ancora Guanziroli Lombardi “ma ha inciso molto anche il cambio sfavorevole tra euro e franco svizzero. Tutte le uscite, compresi gli stipendi, sono in franchi svizzeri”.
Ma quanti soldi arrivavano al Comune dal casinò?
“Si parla di 63 milioni di euro all’anno” risponde Maria Rita Piccaluga, sindaca di Campione dal 2007 al 2017 “che il casinò dava ogni anno al Comune, quando gli introiti erano oltre i 90 milioni di euro. Poi, nel 2012, il cambio ha cominciato a scendere e perdevamo 30 milioni di franchi all’anno. La discesa dell’euro non si è fermata e da 1,64 è andato a 1,40 e anche a 1,30. Fino a che, nel 2015, si è arrivati alla parità assoluta: un euro è uguale a un franco svizzero. Il cda del casinò era già intervenuto per fare dei tagli e aveva concordato con il personale dei tagli consistenti alle loro retribuzioni: 25-30%”.
TAGLI ANCHE AI CARABINIERI
E il Comune?
La Piccaluga ricorda che anche in Comune si lavorò per ridurre i costi, dai fornitori al personale. E, quindi, fu ridotta anche la cifra annuale del casinò: dai 63 milioni del 2007 si passò progressivamente a 40, poi a 30 e in ultimo a meno di 20 milioni.
Ma anche così, il casinò non ce la faceva. Bisognava necessariamente intervenire sulle retribuzioni. Solo che in un ente pubblico non è sufficiente mettersi d’accordo con i lavoratori.
“Dovevamo superare le norme che garantiscono i dipendenti pubblici. Per cui andammo a Roma, al ministero dell’Economia e al ministero dell’Interno, per individuare una via giuridica che ci consentisse di ridurre le retribuzioni del personale, naturalmente concordandolo con gli interessati: eravamo il primo Comune nella storia d’Italia che affrontava una riduzione delle retribuzioni ai propri dipendenti!
“Non tagliammo solo gli stipendi ma anche le indennità integrative dei pensionati e perfino dei carabinieri. Perché il costo della vita a Campione è pari a quello svizzero, e le cifre previste dalla pubblica amministrazione non sarebbero sufficienti a sopravvivere. Con i dipendenti comunali raggiungemmo un accordo per ridurre i compensi di circa l’8%. Ma 36 dipendenti non accettarono e fecero ricorso, vincendo in primo grado. L’Amministrazione ricorse in appello, ma nel frattempo dovette continuare a pagare tutti i dipendenti con il 100% della retribuzione”.
L’ESPOSTO DEL SINDACO, QUANDO ERA OPPOSIZIONE
Ed è adesso, proprio in questo periodo, che si gettano le basi del fallimento dichiarato a luglio 2018. Perché l’allora capo dell’opposizione, oggi sindaco, Roberto Salmoiraghi, manda un esposto alla Procura di Como per segnalare che il Comune non riceveva le spettanze dovute da parte del casinò. La Procura informa la Corte dei Conti, che inizia a indagare e, nel mentre che scadeva il mandato della Piccaluga e veniva eletto il nuovo Consiglio comunale con Salmoiraghi sindaco, venivano fatti tutti i passi che hanno portato al fallimento.
Ma prima di arrivare alle elezioni del 2017, la vecchia Amministrazione comunale cosa fece?
La situazione era già critica perché il debito del casinò nei confronti del suo azionista unico era scritto nero su bianco. E, comunque, il Comune doveva onorare i propri impegni, cioè pagare fornitori e dipendenti. Quindi, dovette ricorrere al credito bancario e negoziò un prestito di alcune decine di milioni dalla Banca popolare di Sondrio. Inoltre, ottenne l’intervento del Governo che, preso atto della situazione di difficoltà data dall’imprevedibile impennata del franco svizzero rispetto all’euro, nel 2015 concesse un contributo straordinario che poi è diventato strutturale, legato all’andamento del cambio e, comunque, entro i 10 milioni all’anno.
Fu predisposto un piano di rientro per il casinò in 30 anni, ma l’intervento della Corte dei conti e il precipitare degli eventi, con l’esito del fallimento, hanno bloccato tutto.
QUATTRO PUNTI PER CAPIRE
Tra i due sindaci che si sono succeduti nel corso degli ultimi 20 anni c’è stato e c’è un continuo scambio di accuse. E per ricostruire le reali responsabilità individuali bisognerebbe davvero approfondire non solo la cronaca ma anche la giurisprudenza. Qui stiamo solo cercando di capire cos’è successo al casinò e cosa potrà succedere da ora in poi.
Riassumendo i fatti in sequenza cronologica possiamo dire che:
1) il casinò è andato in crisi quando sono calati gli introiti e il cambio con il franco svizzero è diventato molto sfavorevole, e solo perché sulle sue spalle c’è (per legge) il sostentamento dell’intera comunità di Campione;
2) il Comune e il casinò hanno messo in atto molte misure per ridurre le spese sia del casinò che dello stesso Comune, ma nel frattempo si sono accumulati i debiti: del Comune nei confronti di fornitori e dipendenti, del casinò nei confronti del Comune;
3) un esposto alla Procura di Como mette in moto la macchina burocratica e giudiziaria che porterà al fallimento nell’estate del 2018;
4) a luglio 2018, il casinò viene chiuso per fallimento.
COME USCIRNE
E adesso cosa succede? C’è modo di recuperare e riaprire il casinò?
“Ogni giorno di chiusura si perdono milioni di euro” dice Olmo Romeo, presidente di Federgioco, l’associazione che riunisce i quattro casinò italiani “e non si deve nemmeno immaginare che questo possa significare scoraggiare i giocatori, ammesso che questo sia un obiettivo da perseguire; perché chi andava a Campione ha delle alternative vicinissime. Ma tutte in Svizzera. Non a caso, con la chiusura di Campione, Lugano e Mendrisio hanno registrato un aumento del 30%! Sono soldi ai quali l’Italia rinuncia favorendo i vicini svizzeri”.
“Inoltre” aggiunge “quello dei casinò è il gioco più sicuro, dato che sono le uniche strutture a identificare uno per uno i propri clienti, ad avere una black list comune per impedire l’ingresso ai giocatori patologici e a rischio”.
Per potere riprendere l’attività, però, si devono superare diversi impedimenti burocratico-legislativi.
“La legge Madia impedisce a un ente pubblico di riavviare l’attività di una propria società fallita per cinque anni” spiega Giovanni Fagone, della Cgil-Slc di Como “quindi è necessario che il Governo intervenga con una soluzione legislativa che potrebbe essere perfino un commissario governativo che esercita la licenza del gioco sul territorio. Ma è tutto legato a una volontà politica”.
E intanto, a novembre prossimo, 80 dei circa 100 dipendenti del Comune andranno in mobilità.
Sempre che non succeda qualcosa prima…