Lei crede molto negli eSports. Ma attualmente non hanno alcuna regolamentazione.
Fino a qualche anno fa gli eSports erano tollerati dal Coni. Adesso siamo in una zona grigia. Vedremo se alla fine verranno regolamentati come sport, quindi attraverso il Coni, oppure come skill games, quindi dai Monopoli.
Ma potrebbero essere anche entrambe le autorità, come accade per il calcio e gli altri sport che ricadono sotto le competenze del Coni, ma poi le scommesse sportive le controllano i Monopoli. In ogni caso, perché ci crede tanto?
Perché è assolutamente una delle più grandi opportunità di business al mondo in questo momento. Io, poi, ho una grandissima passione per i videogames. Venendo dal mondo del poker, vedo tante similitudini. Quello che ho imparato nel poker è che funziona solo con due condizioni: prima cosa, la comunicazione. Quando abbiamo promosso il poker in Italia abbiamo capito quanto fosse importante trasformare in linguaggio comune gli aspetti puramente tecnici del poker. La stessa cosa sta succedendo nel mondo dei videogames. Dove si può raccontare un gioco in maniera tecnica, rischiando di allontanare quelli che non sono esperti; oppure la si può raccontare in maniera semplice, anche a costo di banalizzare. Ma in questo modo si avvicina una audience molto più importante. E questo è un lavoro da fare a livello media nazionali. Ed è una grande opportunità.
Però gli eSports sono un fenomeno in crescita, non più tanto piccolo. Non è ancora un fenomeno per le scommesse, che rimangono una nicchia.
Gli eSports sono entertainment, come il calcio o i concerti negli stadi. Che le scommesse non siano così dilaganti può anche essere un bene, visto che stiamo parlando a una audience molto giovane. Che crescerà, però, e avrà una capacità di spesa maggiore rispetto a oggi. E magari sarà un’opportunità extra di divertimento scommettere puntando sulle loro star, che magari non saranno più il Milan o l’Inter, ma magari il campione il team Fnatic o il team Qlash.
Attualmente, gli eSports sono visti dagli operatori di gioco come un modo per agganciare nuovi giocatori da portare nei casinò. Ma gli appassionati di videogame possono essere attratti dalle slot e dal gratta e vinci on line? Li vediamo più che altro come dei nerd che non escono dal loro mondo tecnologico.
È vero, queste cose non li interessano, o al massimo queste cose li interessano relativamente. Perché quello che li muove è la competizione fine a sé stessa. Vogliono giocare e vincere per essere i migliori della loro cerchia, che può anche essere ristretta agli amici, al proprio paese, o magari all’intera nazione. E questa è una cosa bella perché stimolare i giovani alla competizione sana è un valore importantissimo. Ed è qui che il Coni deve vedere l’opportunità. Perché magari non sono degli atleti in senso tradizionale, ma sono dei giovani che ci mettono un sacco di energia a migliorare. E per questo il Coni non dovrebbe perdere questa opportunità. Però sono già educati al gambling. Perché per loro un giocatore di poker è un loro pari. Loro scommettono già su un risultato della propria squadra. Magari non lo fanno con soldi veri ma con la moneta virtuale, e a loro basta anche quello. Per loro avere più soldi virtuali dei loro amici è già una soddisfazione. Questo è il loro man driver.
Ma allora dov’è il business?
Io non faccio l’operatore di betting, io ho una squadra di giocatori. Il mio business è quello di creare una community di follower che stanno dietro al mio team. Un po’ come succede nelle squadre di calcio. Dov’è il business per la Juventus? Nel riempire gli stadi, nel vendere i diritti alle tv, organizzare eventi, vendere merchandising e vendere sponsorizzazioni. Per me, essere il ceo del team Qlash è molto simile a essere ceo di una squadra di calcio.
Quindi si può pensare a un evento come La casa degli assi?
Assolutamente sì.
Ci sta già pensando?
Sì. Ma posso solo dire che prima o poi succederà.
gpm/AGIMEG